LA FLEXICURITY : precarietà e sicurezza di lavoro
Mi piace ritornare con quest’altra nota sulla “questione operaia” oggi, in quella cornice di “nuova solidarietà” di cui parlavo in un precedente intervento qui su “Vallejato. it” (forum-la tua opinione, del 24/12/07)
Lo faccio pensando a come quest’idea si va venendo a concrettizare in alcuni paesi europei come l’Inghilterra o si è sufficientemente articolata in alcuni paesi scandinavi.
Ed anche se è lecito sperare, perché no?, di dare un contributo per un dibattito sulle idee e su programmi nella nostra zona, specie che siamo in periodo elettorale.
OCCUPAZIONE E LAVORO
Nuovo scenario, nuovi temi, nuovo approccio.
Ecco la nuova parola d’ordine che può e deve essere, a mio avviso, la parola d’ordine dei riformisti:
flexicurity: sicurezza nella flessibilità (o flessibilità in sicurezza)
Il concetto di flexicurity è stato introdotto dal gruppo del PSE nel dibattito al Parlamento Europeo.
Fino a vent'anni fa nell’attenzione dei partiti, di ispirazione socialista e/o solidaristica, il dato occupazione era centrale, poiché la stragrande maggioranza dei posti di lavoro, in un mercato in cui il lavoro era massimamente tutelato dai contratti nazionali e dalla pubblica amministrazione e, per il lavoro autonomo, da una situazione di forte regolamentazione (che aveva risvolti corporativi, ma faceva sentire garantito chi stava dentro queste corporazioni), ha portato a ritenere che lo scopo primario fosse solo "dare lavoro".
Oggi esiste non soltanto un problema nell'accesso al lavoro, ma anche un problema della qualità nel lavoro, cioè nel "come" si lavora, a causa della diffusione dei lavori precari ed intermittenti che ha prodotto si posti di lavoro, ma che non danno sufficiente sicurezza sul medio e lungo periodo e spesso non danno un reddito sufficiente.
Questa è la questione cruciale: il lavoro è diventato flessibile, ma non possono essere flessibili i bisogni del lavoratore e in temimi di reddito minimo e di sicurezza familiare e personale.
Per chi è riformista è imperativo volere una società di lavoro decente, non demonizzando il lavoro flessibile (che risponde anche spesso alle richieste dei lavoratori, che non vogliono essere "sposati" ad un'azienda per sempre), ma è imperativo volere sicurezza per i lavoratori nel reddito immaginando pari opportunità di accesso ai sistemi di welfare che non discriminino grandi aziende e piccole, lavoratori autonomi e dipendenti.
È consequenziale volere, quindi, un sistema di formazione continua, perchè soltanto l'economia della conoscenza può far fronte al continuo mutare imposto dalla modernità (vedi Cina ed India).
È consequenziale attuare politiche di “conciliazione” che consentano al lavoratore (donne e uomini) di uscire e di tornare nel mercato del lavoro, salvaguardando carriera e famiglia.
In Italia si discute molto dei problema dell'età pensionabile e della sostenibilità del sistema previdenziale, ma è un errore pensare che il problema stia esclusivamente su questo lato.
Il vero problema è incidere drasticamente su quello che Pietro Ichino chiama “ dualismo del mercato del lavoro “: un sistema che prevede, da un lato, lavoratori con garanzie, alcune ormai superate socialmente ed economicamente, e, dall’altro lato, altri lavoratori “deboli” che invece non possono godere della stabilità necessaria e dovuta.
Un mercato cioè che tende a scaricare i costi sociali della flessibilità in particolar modo sui giovani.
La legge Biagi va completata con ammortizzatori sociali adeguati, non certo abolita!
Si illude chi vuole abrogarla pensando di risolvere il problema negandone di fatto l’esistenza.
In realtà, cosi facendo, si adopera per irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro, con la probabile conseguenza di più garantire alcuni lavoratori e di escluderne molti altri che non troverebbero occupazione in un mercato rigido ed estremamente protetto.
Il problema è invece di seguire per intero l'insegnamento di Marco Biagi, uno studioso di cultura riformista che ci ha lasciato due eredità:
- guardare la realtà del lavoro flessibile per quello che è, senza chiudere gli occhi, e quindi cercare di regolarla;
- dare anche ai lavoratori precari adeguata dignità, anche provvedendo alla loro sicurezza con garanzie di reddito.
Questa seconda parte dell'insegnamento di Biagi il governo Berlusconi non ha voluto nella legge che a Biagi è stata intitolata, a titolo postumo.
Il risultato è che in Italia c'è molta flessibilità ma poca sicurezza.
Biagi non ne sarebbe stato affatto contento!
E’ certo però che a flessibilità del lavoro può e deve corrispondere sicurezza per il lavoratore.
Anche nel centrosinistra non sembra essere maturata questa convinzione. In una parte, certamente non irrilevante, del centro-sinistra italiano c'è ancora l'idea che flessibilità e sicurezza siano in contrasto inconciliabile, ma il risultato è schizofrenico!
Non si spiegherebbe altrimenti il referendum largamente approvato dai lavoratori ed il corteo anti-accordo welfare organizzato da alcuni partiti della sinistra così detta antagonista!
È necessario oggi di un welfare flessibile quanto è flessibile il mercato del lavoro, un welfare cioè “universale” non meramente assistenziale, che non garantisca solo chi vive nelle grandi aziende ma anche ogni cittadino, oggi lavoratore, domani disoccupato, dopodomani lavoratore in formazione.
Questa è la flexicurity, che prevede garanzie di accesso alla formazione permanente per tutti i lavoratori e garanzie di reddito nei periodi di lavoro intermittente.
Alberto Magro
Mi piace ritornare con quest’altra nota sulla “questione operaia” oggi, in quella cornice di “nuova solidarietà” di cui parlavo in un precedente intervento qui su “Vallejato. it” (forum-la tua opinione, del 24/12/07)
Lo faccio pensando a come quest’idea si va venendo a concrettizare in alcuni paesi europei come l’Inghilterra o si è sufficientemente articolata in alcuni paesi scandinavi.
Ed anche se è lecito sperare, perché no?, di dare un contributo per un dibattito sulle idee e su programmi nella nostra zona, specie che siamo in periodo elettorale.
OCCUPAZIONE E LAVORO
Nuovo scenario, nuovi temi, nuovo approccio.
Ecco la nuova parola d’ordine che può e deve essere, a mio avviso, la parola d’ordine dei riformisti:
flexicurity: sicurezza nella flessibilità (o flessibilità in sicurezza)
Il concetto di flexicurity è stato introdotto dal gruppo del PSE nel dibattito al Parlamento Europeo.
Fino a vent'anni fa nell’attenzione dei partiti, di ispirazione socialista e/o solidaristica, il dato occupazione era centrale, poiché la stragrande maggioranza dei posti di lavoro, in un mercato in cui il lavoro era massimamente tutelato dai contratti nazionali e dalla pubblica amministrazione e, per il lavoro autonomo, da una situazione di forte regolamentazione (che aveva risvolti corporativi, ma faceva sentire garantito chi stava dentro queste corporazioni), ha portato a ritenere che lo scopo primario fosse solo "dare lavoro".
Oggi esiste non soltanto un problema nell'accesso al lavoro, ma anche un problema della qualità nel lavoro, cioè nel "come" si lavora, a causa della diffusione dei lavori precari ed intermittenti che ha prodotto si posti di lavoro, ma che non danno sufficiente sicurezza sul medio e lungo periodo e spesso non danno un reddito sufficiente.
Questa è la questione cruciale: il lavoro è diventato flessibile, ma non possono essere flessibili i bisogni del lavoratore e in temimi di reddito minimo e di sicurezza familiare e personale.
Per chi è riformista è imperativo volere una società di lavoro decente, non demonizzando il lavoro flessibile (che risponde anche spesso alle richieste dei lavoratori, che non vogliono essere "sposati" ad un'azienda per sempre), ma è imperativo volere sicurezza per i lavoratori nel reddito immaginando pari opportunità di accesso ai sistemi di welfare che non discriminino grandi aziende e piccole, lavoratori autonomi e dipendenti.
È consequenziale volere, quindi, un sistema di formazione continua, perchè soltanto l'economia della conoscenza può far fronte al continuo mutare imposto dalla modernità (vedi Cina ed India).
È consequenziale attuare politiche di “conciliazione” che consentano al lavoratore (donne e uomini) di uscire e di tornare nel mercato del lavoro, salvaguardando carriera e famiglia.
In Italia si discute molto dei problema dell'età pensionabile e della sostenibilità del sistema previdenziale, ma è un errore pensare che il problema stia esclusivamente su questo lato.
Il vero problema è incidere drasticamente su quello che Pietro Ichino chiama “ dualismo del mercato del lavoro “: un sistema che prevede, da un lato, lavoratori con garanzie, alcune ormai superate socialmente ed economicamente, e, dall’altro lato, altri lavoratori “deboli” che invece non possono godere della stabilità necessaria e dovuta.
Un mercato cioè che tende a scaricare i costi sociali della flessibilità in particolar modo sui giovani.
La legge Biagi va completata con ammortizzatori sociali adeguati, non certo abolita!
Si illude chi vuole abrogarla pensando di risolvere il problema negandone di fatto l’esistenza.
In realtà, cosi facendo, si adopera per irrigidire ulteriormente il mercato del lavoro, con la probabile conseguenza di più garantire alcuni lavoratori e di escluderne molti altri che non troverebbero occupazione in un mercato rigido ed estremamente protetto.
Il problema è invece di seguire per intero l'insegnamento di Marco Biagi, uno studioso di cultura riformista che ci ha lasciato due eredità:
- guardare la realtà del lavoro flessibile per quello che è, senza chiudere gli occhi, e quindi cercare di regolarla;
- dare anche ai lavoratori precari adeguata dignità, anche provvedendo alla loro sicurezza con garanzie di reddito.
Questa seconda parte dell'insegnamento di Biagi il governo Berlusconi non ha voluto nella legge che a Biagi è stata intitolata, a titolo postumo.
Il risultato è che in Italia c'è molta flessibilità ma poca sicurezza.
Biagi non ne sarebbe stato affatto contento!
E’ certo però che a flessibilità del lavoro può e deve corrispondere sicurezza per il lavoratore.
Anche nel centrosinistra non sembra essere maturata questa convinzione. In una parte, certamente non irrilevante, del centro-sinistra italiano c'è ancora l'idea che flessibilità e sicurezza siano in contrasto inconciliabile, ma il risultato è schizofrenico!
Non si spiegherebbe altrimenti il referendum largamente approvato dai lavoratori ed il corteo anti-accordo welfare organizzato da alcuni partiti della sinistra così detta antagonista!
È necessario oggi di un welfare flessibile quanto è flessibile il mercato del lavoro, un welfare cioè “universale” non meramente assistenziale, che non garantisca solo chi vive nelle grandi aziende ma anche ogni cittadino, oggi lavoratore, domani disoccupato, dopodomani lavoratore in formazione.
Questa è la flexicurity, che prevede garanzie di accesso alla formazione permanente per tutti i lavoratori e garanzie di reddito nei periodi di lavoro intermittente.
Alberto Magro
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