
onlus - Valle Jato
NUOVE FRONTIERE
Come ormai è nostra consuetudine, quasi un obbligo che ci imponiamo, riporto un articolo letto sulla stampa.
Credo che dalla lettura possano essere dedotte alcune considerazioni importanti che desidero sottolineare, perché significative dal punto di vista de:
1. il tumore non è solo un fenomeno “sanitario”, ma anche culturale infatti tanta parte di esso si affronta dal punto di vista mentale, informativo: il sapere che aiuta il fare;
2. l’informazione si tramuta in prevenzione non solo immediata o diretta (sottoporsi a controlli), ma anche indiretta (stile di vita quotidiano);
3. la tendenza all’eccessiva sopravvalutazione, nei comuni discorsi, dell’influenza ambientale quasi a giustificare la nostra inerzia nel mutare l’atteggiamento di vita e mentale nei confronti del fumo, dell’attività fisica (o del semplice muoversi o camminare), dell’uso delle tecnologie (macchina, telefonino per primi, senza tralasciare antigrittogamici, fertilizzanti e quant’altro).
4. una struttura sanitaria locale, questo anche alla luce del precedente articolo pubblicato, che lascia eccessivi lassi di tempo per interventi di prevenzione secondaria (vedi ad esempio la vicenda del vaccino per il papilloma).
E chissà che, forse, proprio queste deficienze strutturali e culturali non siano fra le situazioni che diano uno spazio aggiuntivo al manifestarsi di fenomeni di accentuazione maggiore al sud che al nord d’Italia.
Da “la Repubblica” dell’ 11/10/2009
Indagine dell'Associazione degli oncologi medici riuniti a Milano per il congresso nazionale: sei su dieci hanno fiducia nelle cure
Credo che dalla lettura possano essere dedotte alcune considerazioni importanti che desidero sottolineare, perché significative dal punto di vista de:
1. il tumore non è solo un fenomeno “sanitario”, ma anche culturale infatti tanta parte di esso si affronta dal punto di vista mentale, informativo: il sapere che aiuta il fare;
2. l’informazione si tramuta in prevenzione non solo immediata o diretta (sottoporsi a controlli), ma anche indiretta (stile di vita quotidiano);
3. la tendenza all’eccessiva sopravvalutazione, nei comuni discorsi, dell’influenza ambientale quasi a giustificare la nostra inerzia nel mutare l’atteggiamento di vita e mentale nei confronti del fumo, dell’attività fisica (o del semplice muoversi o camminare), dell’uso delle tecnologie (macchina, telefonino per primi, senza tralasciare antigrittogamici, fertilizzanti e quant’altro).
4. una struttura sanitaria locale, questo anche alla luce del precedente articolo pubblicato, che lascia eccessivi lassi di tempo per interventi di prevenzione secondaria (vedi ad esempio la vicenda del vaccino per il papilloma).
E chissà che, forse, proprio queste deficienze strutturali e culturali non siano fra le situazioni che diano uno spazio aggiuntivo al manifestarsi di fenomeni di accentuazione maggiore al sud che al nord d’Italia.
Da “la Repubblica” dell’ 11/10/2009
Indagine dell'Associazione degli oncologi medici riuniti a Milano per il congresso nazionale: sei su dieci hanno fiducia nelle cure
Per gli italiani è finita l'era del "male incurabile"
ZITA DAZZI
MILANO — Lo chiamavano il "male incurabile".
Ma oggi, col progresso della medicina e della prevenzione, per sei italiani su dieci «di tumore si può guarire».
Il cancro rimane una delle prime cause di morte in Italia, assieme alle malattie cardiovascolari. Potrebbe, a breve, diventare la prima in assoluto.
Ma la gente ha capito che le neoplasie possono essere prevenute, che scoprirle per tempo può essere importante e che ci si può curare con buoni risultati.
È una "rivoluzione culturale" rispetto alla percezione comune fino a pochi anni fa, anche se all'informazione sul miglioramento delle cure per una patologia diffusa come il cancro al colon-retto non corrisponde altrettanta cultura della prevenzione.
«Solo il 38 per cento della popolazione, infatti, sa che questo tumore si può prevenire e un italiano su quattro, pur sapendo i rischi che corre, non è disposto a cambiare il proprio stile di vita, a smettere di fumare, a mangiare più sano e a fare più sport», ha spiegato ieri a Milano, durante l'undicesimo congresso nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), il professore Francesco Brocardo.
Inoltre, solo la metà dei cittadini sa che sottoponendosi ad analisi e controlli annuali si può arrivare a una diagnosi precoce e quindi a maggiori possibilità di guarigione. Questo vale per i tumori più diffusi, come quello alla mammella (450mila pazienti stimate nel 2008, con 38mila nuovi casi e 7.778 decessi)
E se l'80 per cento delle donne del nord va a fare ecografie e mammografie, al sud la quota scende al 30 per cento.
ZITA DAZZI
MILANO — Lo chiamavano il "male incurabile".
Ma oggi, col progresso della medicina e della prevenzione, per sei italiani su dieci «di tumore si può guarire».
Il cancro rimane una delle prime cause di morte in Italia, assieme alle malattie cardiovascolari. Potrebbe, a breve, diventare la prima in assoluto.
Ma la gente ha capito che le neoplasie possono essere prevenute, che scoprirle per tempo può essere importante e che ci si può curare con buoni risultati.
È una "rivoluzione culturale" rispetto alla percezione comune fino a pochi anni fa, anche se all'informazione sul miglioramento delle cure per una patologia diffusa come il cancro al colon-retto non corrisponde altrettanta cultura della prevenzione.
«Solo il 38 per cento della popolazione, infatti, sa che questo tumore si può prevenire e un italiano su quattro, pur sapendo i rischi che corre, non è disposto a cambiare il proprio stile di vita, a smettere di fumare, a mangiare più sano e a fare più sport», ha spiegato ieri a Milano, durante l'undicesimo congresso nazionale dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), il professore Francesco Brocardo.
Inoltre, solo la metà dei cittadini sa che sottoponendosi ad analisi e controlli annuali si può arrivare a una diagnosi precoce e quindi a maggiori possibilità di guarigione. Questo vale per i tumori più diffusi, come quello alla mammella (450mila pazienti stimate nel 2008, con 38mila nuovi casi e 7.778 decessi)
E se l'80 per cento delle donne del nord va a fare ecografie e mammografie, al sud la quota scende al 30 per cento.
Il problema riguarda i cittadini, ma anche le istituzioni. Non su tutto il territorio nazionale esiste una omogenea distribuzione delle strutture specialistiche dove si possono fare gli screening annuali: per il tumore alla mammella solo il 60 per cento del Paese è coperto, mentre per quello al colon-retto la copertura è a macchia di leopardo.
Sono dati diffusi durante il congresso dell'Aiom, che ha visto arrivare 3mila medici nel centro congressi della Fiera dove è stata presentata un'indagine sulla conoscenza del fenomeno in Italia.
Sono dati diffusi durante il congresso dell'Aiom, che ha visto arrivare 3mila medici nel centro congressi della Fiera dove è stata presentata un'indagine sulla conoscenza del fenomeno in Italia.
La ricerca — con 800 interviste davanti ai centri commerciali di diverse città— rivela che la stragrande maggioranza (81 per cento) degli intervistati, più donne che uomini (62 contro 38 per cento), ha conosciuto il cancro da vicino, perché ne è stato colpito un amico o un familiare. Ma «non vi è consapevolezza sui fattori di rischio —spiega Carmelo Iacono, il neoeletto presidente Aiom— sono sottostimate in particolare l'importanza di praticare attività fisica, segnalata solo dal 15 per cento, e di una corretta alimentazione: uno su due la sottovaluta.
Al contrario voci come l'inquinamento vengono sopravvalutate, e ritenute rilevanti nel provocare il tumore al colon-retto da un 59 per cento del campione».
Il 25% non è disposto a mutare il proprio stile di vita.
E la prevenzione diventa un miraggio.
Il 25% non è disposto a mutare il proprio stile di vita.
E la prevenzione diventa un miraggio.
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