domenica 18 ottobre 2009

Un quadro

ASSOCIAZIONE IRIS
onlus - Valle Jato

NUOVE FRONTIERE
Come ormai è nostra consuetudine, quasi un obbligo che ci imponiamo, riporto un articolo letto sulla stampa.
Credo che dalla lettura possano essere dedotte alcune considerazioni importanti che desidero sottolineare, perché significative dal punto di vista de:
1. il tumore non è solo un fenomeno “sanitario”, ma anche culturale infatti tanta parte di esso si affronta dal punto di vista mentale, informativo: il sapere che aiuta il fare;
2. l’informazione si tramuta in prevenzione non solo immediata o diretta (sottoporsi a controlli), ma anche indiretta (stile di vita quotidiano);
3. la tendenza all’eccessiva sopravvalutazione, nei comuni discorsi, dell’influenza ambientale quasi a giustificare la nostra inerzia nel mutare l’atteggiamento di vita e mentale nei confronti del fumo, dell’attività fisica (o del semplice muoversi o camminare), dell’uso delle tecnologie (macchina, telefonino per primi, senza tralasciare antigrittogamici, fertilizzanti e quant’altro).
4. una struttura sanitaria locale, questo anche alla luce del precedente articolo pubblicato, che lascia eccessivi lassi di tempo per interventi di prevenzione secondaria (vedi ad esempio la vicenda del vaccino per il papilloma).
E chissà che, forse, proprio queste deficienze strutturali e culturali non siano fra le situazioni che diano uno spazio aggiuntivo al manifestarsi di fenomeni di accentuazione maggiore al sud che al nord d’Italia.


Da “la Repubblica” dell’ 11/10/2009

Indagine dell'Associazione degli oncologi medici riuniti a Milano per il congresso nazionale: sei su dieci hanno fiducia nelle cure


Per gli italiani è finita l'era del "male incurabile"

ZITA DAZZI
MILANO — Lo chiamavano il "male in­curabile".
Ma oggi, col progresso della medicina e della prevenzione, per sei italiani su dieci «di tumore si può guari­re».
Il cancro rimane una delle prime cause di morte in Italia, assieme alle malattie cardiovascolari. Potrebbe, a breve, diventare la prima in assoluto.
Ma la gente ha capito che le neoplasie possono essere prevenute, che scoprir­le per tempo può essere importante e che ci si può curare con buoni risultati.
È una "rivoluzione culturale" rispetto alla percezione comune fino a pochi an­ni fa, anche se all'informazione sul mi­glioramento delle cure per una patolo­gia diffusa come il cancro al colon-retto non corrisponde altrettanta cultura della prevenzione.
«Solo il 38 per cento della popolazione, infatti, sa che questo tumore si può prevenire e un italiano su quattro, pur sapendo i rischi che corre, non è disposto a cambiare il proprio sti­le di vita, a smettere di fumare, a mangiare più sano e a fare più sport», ha spie­gato ieri a Milano, durante l'undicesi­mo congresso nazionale dell'Associa­zione italiana di oncologia medica (Aiom), il professore Francesco Brocar­do.
Inoltre, solo la metà dei cittadini sa che sottoponendosi ad analisi e con­trolli annuali si può arrivare a una dia­gnosi precoce e quindi a maggiori pos­sibilità di guarigione. Questo vale per i tumori più diffusi, come quello alla mammella (450mila pazienti stimate nel 2008, con 38mila nuovi casi e 7.778 decessi)
E se l'80 per cento delle donne del nord va a fare ecografie e mammo­grafie, al sud la quota scende al 30 per cento.


Il problema riguarda i cittadini, ma anche le istituzioni. Non su tutto il territorio nazionale esiste una omoge­nea distribuzione delle strutture spe­cialistiche dove si possono fare gli screening annuali: per il tumore alla mammella solo il 60 per cento del Paese è coperto, mentre per quello al colon-retto la copertura è a macchia di leopar­do.
Sono dati diffusi durante il congresso dell'Aiom, che ha visto arrivare 3mila medici nel centro congressi della Fiera dove è stata presentata un'indagine sul­la conoscenza del fenomeno in Italia.

La ricerca — con 800 interviste davanti ai centri commerciali di diverse città— ri­vela che la stragrande maggioranza (81 per cento) degli intervistati, più donne che uomini (62 contro 38 per cento), ha conosciuto il cancro da vicino, perché ne è stato colpito un amico o un familia­re. Ma «non vi è consapevolezza sui fat­tori di rischio —spiega Carmelo Iacono, il neoeletto presidente Aiom— sono sottostimate in particolare l'importan­za di praticare attività fisica, segnalata solo dal 15 per cento, e di una corretta alimentazione: uno su due la sottovalu­ta.

Al contrario voci come l'inquina­mento vengono sopravvalutate, e rite­nute rilevanti nel provocare il tumore al colon-retto da un 59 per cento del cam­pione».


Il 25% non è disposto a mutare il proprio stile di vita.
E la prevenzione diventa un miraggio.

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